Ciao
2015.
Ciao,
vaffanculo.
Archiviato,
bruciato senza incendi, inculato con olio per il corpo, pagato a
rate, sciolto sulla lingua, addormentato sul cazzo o sulla panca di
una chiesa inventata, smarrito nelle case di rappresentanza,
elemosinato dagli zuccheri delle droghe peggiori, pieno di musica che
è già altrove, lontana a far festa, a consolare altri individui.
Il
2015 ha cercato di chiamarmi con dei nomignoli insulsi, di quelli che
si usano in alcova, anche; ma non gliel'ho permesso. Gli ho
ricordato, al 2015, che non ci conoscevamo. Nessuna confidenza.
Forse
pensava di flirtare con me, di darmi un nome tutto nostro, un ruolo
esclusivo. Non gliel'ho permesso. Forse pensava di chattare con me
fino a tarda notte, come si fa quando si vuole scopare qualcuno.
Magari di nascosto. Non gioco fino a tardi. Non gioco. E di notte mi
devi chiedere permesso, non devi blandirmi.
Quest'anno
ho scritto molto. Come al solito. Ma ho scritto diversamente. Libero.
Tendenzialmente libero, libero in una folla di fantasmi. Me ne sono
fottuto di piacere o meno. Più del solito. Se ancora fossi
impelagato in quella storia dei consensi, avrebbe più senso che mi
sparassi. Ho spesso scritto come un ladro, in stanze fredde e con la
finestra aperta, perché non riesco a scrivere senza fumare. Quando
scrivo, la Philip Morris incrementa i suoi affari nel sud Italia. Ho
scritto quando sentivo di volerlo e quel che sentivo di voler
esprimere, perché il professionismo mi è stato chiesto altrove. E
io ho finalmente imparato a distinguere le cose.
Ho
scritto senza pensare al prodotto finito, e non ho mai inviato un
solo cazzo di link chiedendo di essere letto. Vuoi? Bene. Non vuoi?
Bene uguale. Vuoi leggere in quel che scrivo dei riferimenti
personali, delle palesi allusioni? Liberissimo di farlo. C'è gente
che crede ancora alla giustizia divina in giro, figuriamoci. Ognuno è
libero di interpretare qualsiasi cosa, incluso il foglio di montaggio
di un tavolo svedese. Ognuno gira il ventilatore verso il suo culo,
il suo ego, la sua follia e il suo rancore idiota.
Non
amo i ventilatori.
Ciao
2015, con i suoi equivoci molli come la pastina al brodo vegetale.
Con i messaggi per interposta persona. Con le nostalgie accese ma
soffocate da un profilattico al kiwi. Con l'alternanza di nuove
conoscenze ottime e confortanti e clamorose teste di cazzo.
Quest'anno ho avuto la fortuna di incontrare degli artisti veri,
coerenti, aperti, curiosi, sinceramente interessati alla realtà ed
alla conoscenza. Ho conosciuto, per il contrappasso previsto, degli
arroganti, degli “sminuitori” di professione, dei cortigiani con
le chiappe macchiate e la lingua pendula, pronti a difendere il loro
padrone indifferente, tirannico, l'accumulatore di crediti ed oboli.
I
grandi mi hanno trattato alle pari e si sono guadagnati il rispetto,
spesso i piccoli hanno alzato la voce rendendosi ridicoli.
Non
sono un servo ed un cortigiano. Se alzi la voce, se tenti l'abuso io
non ci metto niente a decollare il re e scegliere la luce fuori,
quella che si vede in lontananza e ha quel profumo strano di coraggio
ed incoscienza.
Mancano
poche ore alla notte che non cambierà nulla, ma che è comunque un
traguardo nuovo. Giù per strada c'è un vecchio che piscia su delle
piante. Il vento sferza la vegetazione. Ho ruggine in bocca e burro
di cacao addosso. Il neon nel cervello. Lo stereo riproduce un brano
leggero, “Holiday” di Donnie; al basso c'è Jonathan Maron dei
Groove Collective e questo basso saltellante, funky, insinuante,
somiglia forse ad una foto che non faccio da anni. La foto ai sogni
in movimento. La foto alla resistenza che non chiede altro che
strada, strada e campo aperto, vista sui laghi, sulle stazioni della
sera, resistenza che ha bisogno di fumare, di riflettere fino
all'alba, di non sciupare i lampi nell'odio e nella frammentazione
dei silenzi.
Il
vecchio piscia e sgrulla, io scrivo. I botti sono iniziati. Se avessi
una tazza del water da buttare, la lancerei sul SUV parcheggiato
sotto casa. In fondo, non ho mai smesso di essere un teppista. Anche
se ho ingrigito i capelli, se ho rughe d'espressione e di memoria da
domare, anche se mi immalinconisco per un sorriso che svanisce, per
un bambino che piange, per l'inevitabile dispersione della materia
onirica in rigagnoli di disillusione organizzata, con tanto di
organigramma e feste patronali.
Ciao
2015, ci siamo piaciuti qualche volta, ma non siamo mai andati oltre.
Non era tempo, non era luogo, non era modo. L'intimità è una
conquista che ha bisogno di fiducia e pazzia, e nessuno di noi due ha
mostrato questa disponibilità. Non ti amo e non ti detesto. Non ti
celebro e non ti ripercorro. Non ci siamo innamorati, anche se ci
hanno invitato allo stesso party. Ci siamo annusati, poi tu hai
preferito le tartine, altre lingue in bocca, ed io ho scelto le
sigarette e un basso saltellante come questo “Holiday”. È
sempre il basso a ricordarmi chi sono, da dove vengo, cosa potrei
volere e come mi muoverò. Il basso mi dice come devo muovere i
piedi, mi spinge a seguire il tempo muovendo la testa come un
tacchino, mi concede di dimenticare, di tentare, ritentare, e di non
fissarmi con onorevoli origini da ostentare.
La
musica è sempre stata la mia famiglia migliore, e il basso l'altro
padre, il motore interno, il deus ex machina, il riordinatore di
impulsi e il coach scriteriato dei migliori voli.
Sul
groove di questo basso, il basso di Jonathan Maron, mi avvio verso
nuove tonalità di viola, il mio colore, la mia aura e la mia
perdizione annunciata. Dimenticherò e sarò dimenticato ancora e
ancora, ma il groove da sotto i piedi non me lo ha mai tolto nessuno.
Ah,
non ho scritto il coccodrillo per Lemmy Kilmister. Non riesco a dare
il meglio nel futile sciacallaggio e nella dolente agiografia. E poi
penso che Lemmy non saprebbe cosa farsene, da quell'altra parte, del
mio tributo. Anche se non gli piacerebbe neanche un po', gli dedico
questo basso così funky da aver saputo riscrivere la mia carta
d'identità nella notte di S. Silvestro. Cheers.
Luca
De Pasquale, 31 dicembre 2015